giovedì 20 luglio 2017

La parigina, più napoletana di così!

La parigina è una focaccia farcita che si fa solo a Napoli, ma proprio Napoli Napoli, già in provincia, dalle mie parti, si trova di rado e in non tutte le rosticcerie.
Si tratta di un rustico particolarissimo quanto a struttura e consistenze. Uno strato di croccante e dorata pasta sfoglia nasconde un succulento, saporoso, ripieno tipicamente napoletano a base di pomodoro e mozzarella, la cui umidità si stempera nella morbidezza della base di pasta per focacce.
Insomma il paradiso in terra, o quasi, nato dalla fantasia di un ignoto pizzaiolo napoletano o forse dalla necessità di rimediare all'ultimo momento a una dimenticanza, chi sa come sarà andata veramente?
E perché poi si chiama parigina se si fa solo a Napoli? Che c'entra Napoli con Parigi? Certo potremo scomodare i monsù, riflettere sulle contaminazioni tra cucina francese e napoletana la pâte feulletée portata dalla Francia ed adottata nei saporosi rustici napoletani, ricotta e salame, altro che béchamel, mayonnaise e altro :-)
Ma questa volta Parigi e i monsù non c'entrano.
Questa focaccia è parigina perché è talmente buona e preziosa, così dorata e croccante, una focaccia tutta d'oro, che può essere portata davanti a una regina, pa' Rigin.
E chi può dire che in effetti non fu portata davanti a una regina, regina di nascita o solo per il nostro pizzaiolo, chissà ….
Quante volte le sorti della cucina napoletana si sono intrecciate con quelle della dinastia regnante. Distaccati o popolani i Borbone, nel bene e nel male, hanno saputo rappresentare lo spirito della napoletanità anche a tavola. Una pastiera pare abbia addolcito a riso le labbra imbronciate dell'algida sovrana austriaca Maria Teresa, trapiantata al calore di Napoli. Un amatissimo e popolare Ferdinando pare che la mattina attraversasse piazza del plebiscito giungendo in due passi fino alla marina di Santa Lucia per stare in mezzo ai suoi lazzari e mangiare con le mani a branca quei maccheroni aglio e olio che poi, portati a palazzo, diventeranno alla borbonica e detetmineranno l'invenzione della forchetta. La pasta era dedicata alla casa regnante, questa volta Savoia, reginelle, mafalde, e che dire dell'immensa pizza margherita dedicata alla regina Margherita.
Non stupiamoci allora che a Napoli una focaccia possa chiamarsi parigina,
Cosi è se ci piace, intanto gustiamoci una fetta di focaccia parigina, in fondo siamo tutti sovrani nella nostra cucina.
Oggi il Calendario del Cibo Italiano festeggia le focacce e le pizze condite con un meraviglioso giro d'Italia. Prelibate focacce condite ci aspettano ce n'è per tutti i gusti … venghino signori, venghino, la pizzeria apre adesso, solo sul Calendario!
In questo tour delle meraviglie c'è anche la mia parigina a rappresentare Napoli, spero degnamente :-)
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Per 4 persone
una teglia rettangolare 30 cm x 25 cm

impasto per pizza delle sorelle Simili
250 g di farina 0
125 g di acqua
25 g di olio
5 g. di lievito di birra
5 g. di sale

Nella planetaria sciogliere il lievito con l'acqua, unire l'olio e la farina cominciando ad impastare a velocità 2 aggiungere il lievito e continuare l'impasto per 10 minuti. Trasferire l'impasto su una spianatoia e continuare ancora a mano per qualche minuto.
Formare un filone e lasciare lievitare a temperatura ambiente fino al raddoppio. Nel mio caso, piena estate, un'ora e mezza. Rispetto alla ricetta le mitiche sorelle ho dimezzato le dosi del lievito, cosa che faccio sempre. Sarà stato il caldo torrido o il mio pollice per i lievitati, l'impasto è raddoppiato nello stesso tempo indicato dalle Sorelle. Con un altro clima basterà attendere un pochino di più o lasciare lievitare a 28° o semplicemente raddoppiare le dosi del lievito

l'impasto per pizza dopo la prima lievitazione
1 rotolo di pasta sfoglia già stesa rettangolare
300 g di provola lasciata asciugare in frigo almeno una notte
70 g di prosciutto cotto
½ lattina di pomodori pelati
olio extravergine di oliva
sale

Scolare i pomodori pelati, tagliarli a pezzetti condirli con sale e olio.
Versare un filo d'olio verticalmente al centro della teglia, stendere con le dita l'impasto della focaccia direttamente nella teglia, pizzicarlo formando dei buchetti, distribuire sull'impasto il pomodoro pelato a pezzetti lasciandone da parte tre - quattro cucchiai per completare il ripieno. Lasciare lievitare ancora circa un'ora. Sistemare sulla focaccia la provola tagliata a fette sottili e sulla provola il prosciutto cotto. Completare con i pomodori pelati. Chiudere la focaccia con la pasta sfoglia stendendola sul ripieno e fino oltre il margine della base lievitata avendo cura di sigillare bene i bordi premendo e legando i due impasti. Bucherellare la pasta sfoglia leggermente con i rebbi della forchetta. Cuocere in forno statico già a temperatura a 200° per circa 20 minuti ruotando la teglia a metà cottura. La sfoglia deve dorare e colorire per bene.
Sfornare, lasciare intiepidire prima tagliare



Per la storia della parigina mi sono documentata qui

La ricetta della focaccia è tratta con qualche modifica dal libro delle sorelle Simili Pane e roba dolce Vallardi editore.

http://www.calendariodelciboitaliano.it/

giovedì 13 luglio 2017

Uno street food napoletano, le spighe



Acquaiuol… chi vo vevr?
So o cavr e less!
O bror ro purp, o bror ro purp!
Panzarott e pizzell!
Comm'addora 'a vasinicola 'ngoppa 'a pizza!
Cca sta 'o carnacuttaro!
Teng e cevz!
Accattat o frammllicc!
So chine e fuoc 'sti mellune!

Stuzzicanti prelibatezze consumate al momento sulla spinta di un desiderio irresistibile da soddisfare in pochi bocconi, o spizzichino prêt-à-porter da assaporare tra una chiacchiera e l'altra passeggiando tra le vetrine, lo street food oggi rappresenta, un intermezzo, un diversivo, uno svago, in definitiva un di più.
Un tempo però era questione di sopravvivenza.
A Napoli per secoli si è mangiato per strada, non tutti avevano la possibilità di cucinare, ci si arrangiava secondo le disponibilità dai tanti ambulanti che per uno o due soldi permettevano di soddisfare l'esigenza primaria del sostentamento.
Il cibo era normalmente preparato, cotto e consumato per strada, lo street food era la regola, non l'eccezione!
Napoli pullulava di venditori di ambulanti di cibo, maccaronai per due o tre soldi servivano maccheroni cauri cauri, pizzaioli vendevano pizze fritte oggi a otto, friggitori carichi di panzarotti, sgagliuozzoli, pall'e ris e paste crisciute riempivano i vicoli con i loro richiami.


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http://www.vesuviolive.it/ultime-notizie/149422-piatti-della-tradizione-napoletana-protagonisti-cinema-tv/

Mestoli di zuppa di carne cotta, di brodo di polpo chin 'e pepe, o di ardente soffritto, tratti da pentoloni montati su rudimentali ruote, irroravano cuzzetielli di pane le freselle, se si era fortunati capitava un bel pezzo di interiora o una ranca di purpo.
Per chi poteva c'era anche il dolce, meloni con la prova, gelsi di stagione, sovere pilose, figurine (fichi d'india) magistralmente sbucciate e porte inoffensive con polpa dolce e saporosa in bella vista, castagne allesse e arrostite, e, volendo, si poteva cincischiare con spassatiempi e frammellicchi, dolci e sfizi poveri a buon mercato …


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http://cibocampania.it/
 
Ma tutto questo e molto di più troviamo nelle parole di Matilde Serao (Il ventre di Napoli consultato qui) che ci piace condividere oggi che il Calendario del Cibo Italiano celebra il cibo da strada.

Con un soldo, la scelta è abbastanza varia, pel popolo napoletano. Dal friggitore si ha un cartoccetto di pesciolini minutissimi, fritti nell’olio, quei pesciolini che si chiamano fragaglia e che sono il fondo del paniere dei pescivendoli; dallo stesso friggitore si hanno, per un soldo, quattro o cinque panzarotti, vale a dire delle frittelline in cui vi è un pezzetto di carciofo, quando niuno vuol più saperne, o un torsolino di cavolo, o un frammentino di alici.

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Per un soldo, una vecchia dà nove castagne allesse, denudate della prima buccia e nuotanti in un succo rossastro: in questo brodo il popolo napoletano ci bagna il pane e mangia le castagne, come seconda pietanza; per un soldo, un’ altra vecchia, che si trascina dietro un calderottino in un carroccio, dà due spighe di granturco cotte nell’acqua; per un soldo, una povera donna che allatta suo figlio e soffia sopra un braciere di terracotta, dà due spighe di granturco arrostite. Dall’ oste, per un soldo si può comperare una porzione di scapece; la scapece è fatta di zucchetto o di molignane fritte nell’olio e poi condite con pepe, origano, formaggio, pomidoro, ed è esposta in istrada, in un grande vaso profondo in cui sta intasata, come una conserva e da cui si toglie con un cucchiaio. Il popolo napoletano porta il suo tozzo di pane, lo divide per metà, e l’oste ci versa sopra la scapece.

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Dall’oste, sempre per un soldo, si compra la spiritosa; la spiritosa è fatta di pastinache gialle cotte nell’acqua e poi messe in una salsa forte di aceto, pepe, origano, aglio e peperoni. L’oste sta sulla porta e grida: addorosa, addorosa, a’ spiritosa! Come è naturale, tutta questa roba fritta è cotta in un olio forte e nero, tutta questa roba è condita in modo piccantissimo, tanto da soddisfare il più eccitato palato meridionale.
Appena ha due soldi, il popolo napoletano compra un piatto di maccheroni cotti e conditi; tutte le strade dei quattro quartieri popolari hanno uno di quelli osti che installano all’aria aperta le loro caldaie, dove i maccheroni bollono sempre, i tegami dove bolle il sugo di pomidoro, le montagne di cacio grattato, un cacio piccante che viene da Cotrone.

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https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Brogi,_Carlo_(1850-1925)_-_n._10458_-_Napoli_-_Mangiamaccheroni_napoletani.jpg

Anzi tutto, quest’apparato è molto pittoresco, e dei pittori lo hanno dipinto, ed è stato da essi reso lindo e quasi elegante, con l’oste che sembra un pastorello di Watteau; e nella collezione di fotografìe napoletane, che gl’inglesi comprano, accanto alla monaca di casa, al ladruncolo di fazzoletti, alla famiglia di pidocchiosi, vi è anche il bacco del maccaronaro. Questi maccheroni si vendono a piattelli di due soldi e di tre soldi; e il popolo napoletano li chiama brevemente, dal loro prezzo: nu doie, nu tre. La porzione è piccola e il compratore litiga con l’oste, perchè vuole un po’ più di sugo, un po’ più di formaggio e un po’ più di maccheroni.
Con due soldi si compra un pezzo di polipo bollito nell’acqua di mare, condito con peperone fortissimo: questo commercio lo fanno le donne, nella strada, con un focolaretto e una piccola pignatta; con due soldi di maruzze, si hanno le lumache, il brodo e anche un biscotto intriso nel brodo; per due soldi l’oste, da una grande padella dove friggono confusamente ritagli di grasso di maiale e pezzi di coratella, cipolline e frammenti di seppia, cava una grossa cucchiaiata di questa miscela e la depone sul pane del compratore, badando bene a che l’unto caldo e bruno non coli per terra, che vada tutto sulla mollica, perchè il compratore ci tiene. Appena ha tre soldi, quattro soldi, otto soldi al giorno per pranzare, il buon popolo napoletano, che è corroso dalla nostalgia familiare, non va più dall’oste per comprare i commestibili cotti, pranza a casa sua, per terra, sulla soglia del basso, o sopra una sedia sfiancata.

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Con quattro soldi si fa una grande insalata di pomidori crudi verdastri e di cipolle; o una insalata di patate cotte e di barbabietole; o una insalata di broccoli di rape o una insalata di citrioli freschi. La gente agiata, quella che può disporre di otto soldi al giorno, mangia dei grandi piatti di minestra verde, indivia, foglie di cavolo, cicoria o tutte quest’erbe insieme, la cosidetta mmenesta maretata; o una minestra, quando ne è tempo, di zucca gialla con molto pepe; o una minestra di fagiolini verdi, conditi col pomidoro; o una minestra di patate cotte nel pomidoro.
Ma per lo più compra un rotolo di maccheroni, una pasta nerastra, di tutte le misure e di tutte le grossezze, che è il raccogliticcio, il fondiccio confuso di tutti i cartoni di pasta e che si chiama efficacemente la monnezzaglia: e la condisce con pomidoro e formaggio.
Il popolo napoletano è goloso di frutta: ma non spende mai più di un soldo alla volta. A Napoli, con un soldo, si hanno sei peruzze, un po’ bacate, ma non importa; si ha mezzo chilo di fichi, un po’ flosci dal sole; si hanno dieci o dodici di quelle piccole prugne gialle, che pare abbiano l’aspetto della febbre; si ha un grappolo di uva nera, si ha un poponcino giallo, piccolo, ammaccato, un po’ fradicio; dal venditore di melloni, quelli rossi, si hanno due fette, di quelli che son riusciti male, vale a dire biancastri.

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http://www.vesuviolive.it/cultura-napoletana/158940-antichi-mestieri-napoli-mellunaro-improvvisava-cabaret-piazza/
 
Ha anche qualche altra golosità, il popolo napoletano: lo spassatiempo, vale a dire i semi, di mellone e di popone, le fave e i ceci cotti nel forno; con un soldo si rosicchia mezza giornata, la lingua punge e lo stomaco si gonfia come se avesse mangiato.


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La massima golosità è il soffritto: dei ritagli di carne di maiale cotti con olio, pomidoro, peperone rosso, condensati, che formano una catasta rossa, bellissima all’occhio, da cui si tagliano delle fette: costano cinque soldi. In bocca, sembra dinamite.

Per questa giornata ho voluto occuparmi delle spighe, uno street food stagionale povero e quasi sconosciuto che qui da me ancora si trova per le strade di periferia. Nella mia infanzia era comune, uno street food negato però, mia nonna non si fidava per niente delle spigaiole, mi diceva: “no, domani te ne preparo quante vuoi, sono semplici da fare in casa”.

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Ogni tanto però cedeva e me ne comprava una, assicurandosi che fosse pescata dal lungo forchettone in fondo in fondo alla calda caurara e soprattutto che fosse tenera. Scelta la spiga, la spigaiola avvolgeva con cura in un rettangolo di carta per alimenti accomodandolo intorno al gambo, quasi un'impugnatura per il mio trofeo mangereccio.
Il giorno dopo un pentolone di spighe mi aspettava …
 


Se volete questa è la ricetta, sono semplici da fare in casa :-) Con questo post partecipo alla Giornata Nazionale del Cibo da Strada del Calendario del Cibo Italiano.
 
20 pannocchie di mais
acqua
sale

Sbucciare le pannocchie, eliminare la pare interna filamentosa, tagliare il gambo lasciandone eventualmente un pezzetto per poter impugnare la spiga.
Rivestire il fondo di un grosso pentolone con le foglie delle pannocchie, sistemare sulle foglie le pannocchie e sulle pannocchie altre foglie in modo da coprirle completamente, riempire d'acqua il pentolone comunque fino a superare il livello delle pannocchie, salare abbondantemente. Lasciare bollire fino a che le pannocchie non diventano tenere. 

 http://www.calendariodelciboitaliano.it/